venerdì 1 luglio 2011

Fratelli e sorelle di Gesù


Fratelli e sorelle di Gesù sono menzionati in diversi punti del N.T. (Mt 12,46; 13,55; Mc 3,31; Lc 8,19; Gv 2,12; 7,3 ss.; 20,17; At 1,14; 1 Cor 9,5; Gal 1,19), particolarmente Giacomo, Giuseppe, Giuda, Simone in Mc 6,3 (vedi Giacomo il fratello del Signore). Le parole greche che significano "Fratello" e "sorella" non sempre in senso stretto ma anche in senso traslato, traducono termini ebraico-aramaici che, oltre a designare i figli di stessi genitori, designano anche parenti prossimi, specialmente per consanguineità, senza specificare il grado di parentela. Per i vari gradi di parentela, poi, le due lingue non possiedono neppure tutti i vari termini che hanno le nostre lingue. In ogni caso è bene precisare che i fratelli e le sorelle di Gesù non siano anche figli di Maria.
con la parola "ah" (= fratello), gli Ebrei esprimevano la parentela in genere o, addirittura semplicemente compaesano o compatriota;
quando volevano indicare un fratello germano (= uterino, di sangue) ricorrevano ad espressioni più lunghe, come "figlio di suo fratello" "Figlio di sua madre". Gesù è sempre indicato come figlio di Maria. GLI ALTRI MAI.
Per quanto riguarda i "Fratelli di Gesù" questa è la realtà biblica:
l. Giacomo, fratello di Gesù, è figlio di Alfeo (cf Mt 10,3). Può essere, quindi un parente di Gesù. Giacomo fu capo della Chiesa di Gerusalemme dopo la dispersione degli Apostoli (cf At 12,17; 15,13; 21,18).
2. Giuda, detto anche lui fratello di Gesù, così incomincia la sua lettera: "Giuda servo di Cristo, fratello di Giacomo".
3. "E le sue sorelle non sono tutte "fra noi?"
E' chiaro che quel "Fra noi" dà l'idea di persone che abitano nella stessa contrada, quartiere, località di chi sta parlando. Si capisce che si tratta di parentela larga, di conoscenti più intimi o di paesani.Mostra altro
Infatti, troviamo ancora in Mt 12,46-50 e in Mc 3,31 che "mentre Egli (Gesù) parlava alla folla, sua madre e i suoi fratelli cercavano di parlargli. Ma Egli disse: "Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli? Ecco mia madre ed ecco i miei fratelli; perché chiunque fa la volontà del Padre è per me fratello, sorella e madre", e Luca (8,19-20) aggiunge: "Mia madre e i miei fratelli sono coloro che ascoltano la Parola di Dio e la mettono in pratica".
Forse che Gesù abbia addirittura rinnegato le persone più intime, perché da loro rinnegato, come appare in Gv 7,5.
No le parole di Gesù vogliono darci dei profondi insegnamenti. L'appartenenza a Lui non, si basa su legami di sangue o di parentela. La Chiesa non è fondata su rapporti ambientali, di razza, di classe o di cultura: essa è la famiglia di Dio.
Gli evangelisti sottolineano le ragioni opposte che suscita la persona di Gesù. Le folle lo cercano, i più intimi (parenti, paesani) lo ritengono quasi folle: essi non comprendono affatto la sua missione e vogliono distoglierlo facendolo ritornare in patria. Ancora più grave è l'ostilità dei dottori della religione ebraica; essi si persuadono che Gesù riceve il suo potere dal principe dei demoni, Belzebul (cf Mc 3,22). Non c'è dubbio che nelle parole di Gesù è implicito un elogio per sua madre che "serbava le sue parole meditandole nel suo cuore" (Le 2,19.51) ed era "la serva del Signore che compiva tutta la Sua volontà" (cf Lc 1,38).

La parola "Fratello" nella Bibbia è attribuita:

1. Ai nipoti:
Gen 13,8: "Abramo disse a Lot: 'Non vi sia discordia tra me e te, tra i miei mandriani e i tuoi, perché noi siamo fratelli'" (Lot è nipote di Abramo, figlio di suo fratello Aran (cf Gen 11,27; 14,12);

2. Agli zii:
Gen 29, 15: Labano chiama "parente" Giacobbe, il quale è nipote, figlio di sua sorella Rebecca;

3. Ai cugini remoti: (Lev 10,4);

4. Ai parenti in genere: (2 Re 10, 13);

5. Ai semplici compatrioti: (Gen 19,6).

N.B.
a) I Vangeli conservano la mentalità ebraica e perciò la parola "fratello" ha un uso così ampio. D'altronde, non si può dire che tra noi ancora oggi le cose siano del tutto cambiato.
b) Osserviamo inoltre, che nell'infanzia di Gesù non vengono mai nominati gli eventuali suoi fratelli;
c) Nel racconto dei pellegrinaggio a Gerusalemme di Gesù fanciullo (Lc 2,41-52) è sorprendente che non si faccia mai menzione di eventuali fratelli di Gesù;
d) La Madonna, come donna, non era affatto obbligata al pellegrinaggio se, oltre al suo primogenito, avesse avuto altri figli;
e) E che dire di Gesù morente? Gv 19,26-27: "Gesù allora, vedendo la madre disse. 'Donna, ecco tuo figlio' e da quel momento il discepolo la prese nella sua casa".
Se la Madonna avesse avuto altri figli, sarebbe rimasta presso di loro e non con Giovanni, né Gesù si sarebbe espresso in quella maniera.

il matrimonio tra Giuseppe e Maria fu necessario:

a) Perché la Madonna sarebbe stata lapidata come adultera;

b) Così S. Giuseppe poté custodire la Madre ed il Figlio.

c) S. Giuseppe era certamente discendente della stirpe davidica e solo lui, come uomo, poteva legalmente assicurare la discendenza a Gesù secondo: la carne;

d) Il segreto poté rimanere nascosto finché Dio non volle farlo conoscere bene attraverso lo stesso Verbo Incarnato;

e) Il "Non conosco uomo" di Maria all'angelo dimostra la sua ferma volontà di rimanere sempre vergine, come consacrata a Dio.
Quindi, la parola "Fratello" o "sorella" non significa necessariamente "Fratello di sangue". Anzi mai, o quasi mai, ha questo significato.

f) Il significato più ampio di "fratello", "sorella" si riscontra anche nella letteratura greca del periodo ellenistico, del quale fa parte il greco del Nuovo Testamento;

g) Come ho già accennato, la Bibbia quando vuole indicare che si tratta di un fratello consanguineo usa questa formula:

1. Gen 29, 10: "Quando Giacobbe vide Rachele, figlia di Labano, 'fratello di sua madre', Giacobbe, fattosi avanti, rotolò la pietra dalla bocca del pozzo e fece bere le pecore di Labano, fratello di sua madre, insieme con il bestiame di Labano, 'fratello di sua madre' ".
E' impressionante che in un periodo così breve, lo scrittore sacro usi per tre volte l'espressione 'fratello di sua madre'.

2. In Gen 43,29 è detto: "Egli (Giuseppe) alzò gli occhi e guardò Beniamino, suo fratello, figlio di sua madre". Giuseppe e Beniamino sono figli della stessa madre (Rachele), ossia fratelli di sangue, e perciò l'autore sacro specifica.

3. La stessa formula troviamo in Dt 13,7: Qualora il tuo fratello, figlio di tuo
padre o figlio di tua madre`; Gdc 8,19: "Egli (Gedeone) riprese: "Erano miei fratelli, figli di mia madre";
Gdc 9,4-5: "Abimelech venne; alla casa di suo padre, a Ofra, e uccise sopra una stessa pietra i suoi fratelli, figli di Ierub-Baal (suo padre)";
Sal 49,20: "Ti siedi, parli contro il tuo fratello, getti fango contro il figlio di tua madre";
Sal 68,9: "sono un estraneo per i miei fratelli, un forestiero per i figli di mia madre".

N.B.

a) Come si vede, il fratello di sangue è generalmente indicato con le suddette formule;
b) Inoltre, per convincerci ancora meglio che la parola "Fratello" ha un significato molto ampio, leggiamo in:
1 Cronache 9,6: Ieuèl ha 690 "fratelli". E' chiaro che essi fanno parte della larga parentela e anche dei concittadini di Ieuèl.
1 Cronache 15,5: Uriel ha 120 "fratelli". Certamente si tratta di larga parentela o di compatrioti.

Il termine usato da S. Paolo è la parola greca "anepsíos". Da notare che "anepsios" non ha il significato stretto di cugino, ma quello più generico di parente, che può includere anche quello di cugino. Etimologicamente richiama il latino "nepos" che è un termine con un significato più ampio e non quello di "nipote", come sembrerebbe dalla parola italiana. In italiano adoperiamo la parola "parente" con significato molto ampio, mentre in latino i "parentes" sono i soli genitori. Per convincerci ancora meglio, nel N.T. ci sono molti passi che confermano ciò.

Qualche esempio:

- In Gv 20,17, "fratelli" sono i "discepoli";
- In Mt 25,40, i "fratelli" sono "tutti gli uomini";
- In 1 Cor 9,3-5, i "fratelli" sono i "fratelli di fede";
- In Gal 1,18-19, Giacomo, che è figlio di Alfeo (cf Mat 10,3), viene indicato da Paolo come fratello del Signore ossia come appartenente alla sua parentela o, tutt'al più, potrebbe essere tra i suoi cugini;
- In Mt 28, 10, Gesù chiama "fratelli" i suoi apostoli e discepoli.


a) In Mt 1,25 è scritto che Giuseppe prese Maria come sposa "la quale, e non la conobbe, finché non partorì un figlio, che egli chiamò Gesù;
b) In Lc 2,7 è detto che Maria "diede alla luce il suo figlio "primogenito".

I dubbi potrebbero essere questi:
- Anzitutto le parole di Matteo in traduzioni precedenti a quella della CEI sono così indicate: "Ma egli (Giuseppe) non la conobbe, finché non partorì un figlio". Dunque, la conobbe dopo? Cosa vuol dire?
L’evangelista Matteo vuol dimostrare che il Bambino Gesù non è stato concepito mediante il concorso umano, di Giuseppe, perciò chiarisce che prima ad ora, Maria non fu toccata da Giuseppe. Così la frase “Ma egli (Giuseppe) non la conobbe, finché non partorì un figlio” servì solo per sottolineare che la nascita di Gesù non fu per concorso da un padre umano. Dopo che Maria partorì Gesù, non ebbe mai rapporti con Giuseppe, lui se ne sarebbe ben guardato, come poteva accoppiarsi con una donna che è stata prescelta da Dio? Sarebbe come un profanare una cosa sacra, quindi preso da sacro pudore Giuseppe non osò toccarla, come poteva considerare Maria come una donna normale, visto che aveva un filo diretto con Dio, così la prese come moglie solo per occhio di mondo, per non esporla alla lapidazione, che era riservato alle donne che avevano figli non dal proprio marito, quindi adultere. Giuseppe da uomo giusto, cioè compassionevole, la prese con sé come se fosse sua moglie, ma in realtà vissero come fratello e sorella e niente più. Dei presunti fratelli di Gesù, neanche una parola, anche a dodici anni Gesù era solo.  

Queste parole vanno collegate con quelle altre di Maria: "Come è possibile? Non conosco uomo". Queste parole vogliono indicare la ferma risoluzione di Maria di voler rimanere "sempre vergine" perché consacrata a Dio. Per convincerci ancora di più, leggiamo in 2 Sam 6,29: «Micol, figlia di Saul, non ebbe figli sino al giorno della sua morte" (cf Sal 110, 1). E' certo che Micol non ebbe figli neppure dopo la morte
Il "primogenito", indicato da Lc 2,7, nella mentalità ebraica è il figlio che "apre il seno materno" (cf Es 13,2; Nm 3,12). "Primogenito" era un termine legale, in quanto i genitori dovevano pagare per lui un prezzo di riscatto. Dio Padre introduce il Primogenito sia al momento dell'Incarnazione (Eb 1,6), sia al momento della intronizzazione nella gloria (cf Eb 1,3; 2,5; Ef 1,20-21; Fil 2,9-10). Primogenito è anche un titolo di onore (cf Col 1, 15. 18; Ap 1,5). Infine l'archeologia ha scoperto (1922) una iscrizione greca di un cimitero giudaico dell'Egitto (5° sec. a.C.) che dice: "La sorte mi condusse al termine della vita nel dolore del parto del mio primogenito figlio". Certo, dopo questo "primogenito" non vi furono altri figli!
Credo che dopo tutte queste risposte e prove, chiunque vuole può tranquillamente credere rettamente.
S. Agostino scriveva: "Può credere chi vuole credere. La fede è un 'si' libero, ma anche obbediente. Infatti Dio lascia al nostro arbitrio e piacimento di accogliere o rifiutare la sua rivelazione. ferma risoluzione di Maria di voler rimanere "sempre vergine" perché consacrata a Dio. Per convincerci ancora di più, leggiamo in 2 Sam 6,29: «Micol, figlia di Saul, non ebbe figli sino al giorno della sua morte" (cf Sal 110, 1). E' certo che Micol non ebbe figli neppure dopo la morte
Maria fu vergine prima, durante e dopo il parto.

Il Concilio Lateranense del 649, presieduto da Papa Martino I, pone in risalto i tre momenti della verginità di Maria, insegnando che "la santa Madre di Dio sempre vergine immacolata Maria ha concepito senza, seme per opera dello Spirito Santo e ha partorito senza corruzione, permanendo indissolubile anche dopo parto la sua verginità" (D. 256 [DS. 503]). Paolo IV dichiarò (1555): Beatissimam Virginem Mariam pestitisse semper in virginitatis integritate, ante partum scilicet, in partu et perpetuo post partum (D. 993 [DS 1880]).
La verginità di Maria comprende la "virginitas mentis" cioè il costante proposito della verginità, la "virginitas sensus" cioè l'immunità dagli impulsi disordinati della concupiscenza sessuale, e la "virginitas corporis" cioè l'integrità fisica. Il dogma della Chiesa si riferisce in primo luogo all'integrità fisica.

Verginità prima del parto

Maria concepì senza cooperazione di uomo per virtù dello Spirito Santo.

Avversari della concezione verginale furono nell'antichità i giudei ed i pagani (Celso, Giuliano l'Apostata), Cerinto e gli ebioniti, nell'epoca moderna i razionalisti, i quali cercano di far derivare la fede nella verginità della concezione o dal passo di Is. 7, 14 o dalla mitologia pagana.

La fede della Chiesa nella concezione verginale (attiva) di Maria è espressa in tutti i simboli della fede. Quello apostolico professa: Qui conceptus est de Spiritu Sancto. Cfr. D. 86, 256, 993 (DS. 150, 503, 1880).

Che Maria, fino al momento della concezione attiva, sia stata vergine è attestato da Lc. 1, 26-27: "L'angelo Gabriele fu da Dio mandato a una vergine e la vergine si chiamava Maria".
La concezione verginale fu già predetta nel Vecchio Testamento da Isaia nelle sue celebri profezie dell'Emmanuele (Is. 7, 14): "Ebbene il Signore stesso vi darà un segno. Ecco la vergine che concepisce e partorisce un Figlio, e gli porrà nome Emmanuele (= Dio con noi)".

Il giudaismo non ha inteso il passo in senso messianico. Il cristianesimo sin dall'inizio lo ha invece riferito a Cristo, poichè vide che il segno era compiuto. Cfr. Mt. 1, 22. Poichè l'Emmanuele, secondo quanto dice in seguito il profeta (Is. 9 ss.), è il Messia, è chiaro che per 'alma non si può intendere né la moglie del re Achaz; né quella dello stesso profeta, ma la madre del Messia. L'obbiezione mossa da parte ebraica che i Settanta avrebbero reso male 'alma con "la vergine", invece di "la ragazza, la donzella" (così Aquila, Teodozione, Simmaco), non è giustificata poiché quel termine nell'uso biblico designa la ragazza da marito, ancora vergine. Cfr. Gen. 24, 43 con Gen. 24, 16; Es. 2, 8; Sal. 67, 26; Cant. 1, 2 (M. 1, 3); 6, 7 (M. 6, 8). Inoltre il contesto parla di segno, cioè di carattere miracoloso della nascita del Messia; ma di prodigio in quest'annunzio di una concezione e nascita non ci può essere se non ch'esse, avvengono senza scapito della verginità della Madre.

Matteo 1, 18 ss. e Luca 1, 26 ss. narrano il compimento della profezia di Isaia. Mt. 1, 18: "La madre di lui, Maria, essendo fidanzata a Giuseppe, prima, che venissero a stare insieme, si trovò incinta per virtù dello Spirito Santo". Lc. 1, 34-35: "Disse Maria all'angelo: Come avverrà questo, poichè io non conosco: uomo? E l'angelo le rispose: Lo Spirito Santo verrà sopra di te, e la potenza dell'Altissimo ti ricoprirà". Poiché Maria visse in legittimo matrimonio con Giuseppe, questi era il padre legale di Gesù. Lc. 3, 23: "Il figlio, come si credeva, di Giuseppe". Cfr. Lc. 2, 23. 48.

Le obiezioni della critica razionalistica contro l'autenticità di Lc. 1, 34-35 derivano esclusivamente dal pregiudizio filosofico della impossibilità del soprannaturale. La forma del tutto isolata che la versione siriaca sinaitica ci dà di Mt. 1, 16: "Giacobbe generò Giuseppe; Giuseppe cui era fidanzata la Vergine Maria, generò Gesù", non può, per mancanza di testimonianze, esser ritenuta come primitiva. A quanto pare l'antico traduttore siriaco intese la paternità di Giuseppe nel senso legale, non naturale, poiché in seguito (I, 18 ss.) in perfetta armonia con tutte le altre testimonianze testuali, narra la concezione verginale ad opera dello Spirito Santo. La singolare versione sarebbe nata dal fatto che il traduttore notando che "generò" nella genealogia è sempre attribuita all'uomo, continuò sino alla fine la prima formulazione, stimando che l'inciso "cui era fidanzata la Vergine Maria" manifestasse abbastanza il suo pensiero. Il testo che servì traduttore conteneva la seconda forma di Mt. 1, 16 testimoniata da numerosi testi principalmente occidentali, che così risulta: "Giacobbe generò Giuseppe, cui (era) fidanzata Maria Vergine (la quale) generò Gesù detto il Cristo".

I Padri attestano in pieno accordo la concezione verginale di Maria. Cfr. IGNAZIO di ANTIOCHIA, Smirn. I, I: "Nato realmente da una vergine"; Trall. 9, 1; Ef. 7, 2; 18, 2; 19, i. Essi difendono, a cominciare da Giustino, il significato messianico di Is. 7, 14 e fanno osservare che le parole vanno intese nel senso che la Madre dell'Emmanuele concepisse e partorisse come vergine (in sensu composito, non in sensu diviso). Cfr. GIUSTINO, Dial. 43; 66-68; Apol. 1, 33; IRENEO, Adv. haer. 111, 21; ORIGENE, Contra Celsum 1, 34-35; S. th. 111, 28, 1.

Verginità dutante il parto

Maria partorì senza lesione della sua integrità verginale.

La verginità di Maria nel parto fu negata nell'antichità da TERTULLIANO (De carne Christi 23) e particolarmente da GIOVINIANO, avversario dell'ideale cristiano della verginità, e nel... tempo moderno dal razionalismo. A. Harnack, ad es., ritiene che sia un'invenzione dello gnosticismo.

La dottrina di Gioviniano (Virgo concepit, sed non virgo generavit) fu respinta in un sinodo di Milano (390) presieduto da SANT'AMBROGIO (cfr. Ep. 42), in cui si fece appello al simbolo apostolico: natus ex Maria virgine. La verginità nel parto è inclusa nel titolo onorifico di "sempre vergine" è espressamente insegnata da Papa LEONE I nell'Epistola dogmatica ad Flavianum (Ep. 28, 2), dal Concilio Lateranense del 649 e da Papa Paolo IV nel 1555 (D. 256, 993 [DS. 503, 1880]). Nell'Enciclica Mystici corporis PIO XII scrive: "Lei con un parto ammirabile dette alla luce Cristo Signore" (mirando partu edidit; l. C., P. 247).

La fede generale della Chiesa risulta anche dalla liturgia. Cfr. il Prefazio delle feste della Madonna (virginitatis gloria permanente) ed i responsori della 5a lezione della festa del Natale (cuius viscera intacta permanent) e della 8a lezione della festa della Circoncisione (peperit sine dolore).
Is. 7, 14 annuncia che la vergine (come vergine) partorirà. Al parto verginale i Padri riferiscono in senso tipico anche le parole del profeta Ezechiele sulla porta chiusa (Ez. 44, 2; cfr. AMBROGIO, Ep. 42, 6; GEROLAMO, EP. 49, 21), quelle del profeta Isaia sul parto senza dolori (Is. 66, 7; cfr. IRENEO, Epid. 54; GIOVANNI DI DAMASCO, De fide orth. IV, 14) e quelle del Cantico dei Cantici sul giardino chiuso e della fonte sigillata (4, 12; cfr. GEROLAMO, Adv. Iov. 1, 31; EP. 49, 21).
IGNAZIO DI ANTIOCHIA definisce non solo la verginità di Maria ma anche il suo parto come "un mistero strepitoso" (Ef. 19, 1). La nascita verginale di Cristo è attestata con certezza da scritti apocrifi del II secolo (Odi di Salomone 19, 7 SS.; Protovangelo di Giacomo 19-2o; Ascensione di Isaia 11, 7 ss.) e da scrittori della Chiesa, come IRENEO (Epid. 54; Adv. haer. III, 21, 4-6). CLEMENTE ALESSANDRINO (Strom. VII, 16, 93), ORIGENE (In Lev. hom. 8, 2; diversamente In Luc. hom. 14). Contro Gioviniano la dottrina tradizionale della Chiesa fu difesa da S. AMBROGIO (Ep. 42, 4-7), da S. GEROLAMO (Adv. Iovinian. 1 31; Ep. 49, 21) e da S. AGOSTINO (Enchir. 34). Per illustrare il mistero i Padri, e con loro i teologi, si servono di diverse analogie: l'uscita di Cristo dal sepolcro sigillato, il suo passaggio attraverso le porte chiuse, la penetrazione dei raggi solari attraverso il vetro, la nascita del Logos dal seno del Padre, la nascita del pensiero umano dall'intelletto.

Il dogma afferma che l'integrità fisica di Maria non fu lesa all'atto dei parto. Come nel concepire, così anche nel partorire la sua integrità verginale rimase intatta. Il modo in cui partorì ebbe quindi un carattere straordinario. La spiegazione precisa, in che consista sotto l'aspetto fisiologico l'integrità verginale nel parto, non rientra nella fede della Chiesa. Tuttavia, in base alle dichiarazioni del magistero ecclesiastico ed in base alle testimonianze della tradizione si deve ritenere che la verginità nel parto è diversa dalla verginità nel concepimento, cui si aggiunge come un nuovo elemento.
La spiegazione teologica mette l'integrità fisica nel parto in rapporto con l'immunità dalla concupiscenza, la quale aveva come conseguenza un singolare dominio delle forze spirituali sugli organi e processi fisici. Ne risulta che Maria, nel partorire Gesù, si comportò in modo del tutto attivo, come indica anche la Scrittura (Lc. 2, 7). In tal modo si può spiegare la mancanza del dolore fisico e soprattutto di moti sessuali. L'integrità fisica è l'elemento materiale della verginità nel parto, mentre la mancanza di moti sessuali è l'elemento formale.

Verginità dopo il parto

Maria visse vergine anche dopo la nascita di Gesù.

Quest'aspetto della verginità di Maria fu negato in antico da Tertulliano (De monog. 8), Eunomio, Gioviniano, Elvidio, Bonoso di Sardica e dagli Antidicomarianiti. Al presente viene contestato dalla maggior parte dei protestanti, sia liberali sia conservatori.

Papa Siricio (392) respinse la dottrina di Bonoso (D. 91). Il V Concilio ecumenico di Costantinopoli (553) attribuisce a Maria il titolo onorifico di "sempre vergine" D. 214, 218, 227 [DS 422, 427, 437]). Cfr. le dichiarazioni del Concilio Lateranense del 649 e di Paolo IV (D. 256, 993 [DS- 503, 1880]). Anche la liturgia celebra Maria "sempre vergine". Cfr. la preghiera Communicantes nel canone della Messa. La Chiesa prega: post partum, Virgo, inviolata permansisti.
La Scrittura attesta solo indirettamente la verginità di Maria dopo il parto. Il fatto che il Salvatore morente affidi sua madre alla protezione di Giovanni (Gv. 19, 26: "Donna, ecco tuo figlio"), presuppone che Maria non avesse altri figli oltre Gesù. Cfr. ORIGENE, in Ioan. 1, 4 (6), 23.
L'interpretazione tradizionale di Lc. 1, 34, dalla risposta di Maria: "Come avverrà questo, poichè io non conosco uomo?" arguisce il suo proposito di verginità perpetua, fatta per una particolare illuminazione divina. Agostino suppone, persino un voto formale di verginità. Secondo una moderna interpretazione Maria, che concepiva il matrimonio e la maternità alla luce del Vecchio Testamento, contrasse matrimonio con un'intenzione normale. Quando l'angelo le annunziò il concepimento come un fatto imminente, obiettò che ciò non era possibile, perché, prima di essere accolta in casa del marito, non aveva con esso rapporti coniugali.
Per coloro che la Scrittura chiama parecchie volte "fratelli di Gesù", mai però "figli di Maria", si devono intendere parenti prossimi di Gesù. Cfr. Mt. 13, 55 con Mt. 27, 56, Gv. 19, 25 e Gal. 1, 19. Dal passo Lc. 2, 7: "E diede alla luce il suo figlio primogenito" (cfr. Mt. 1, 25 sec. la Volgata) non si può inferire che Maria dopo Cristo abbia dato alla luce altri figli, poichè nel giudaismo anche il figlio unico e designato con il nome di primogenito. Un epitaffio giudaico scoperto ultimamente in Egitto chiama primogenito il figlio d'una donna morta al suo primo parto. Il titolo di primogenito portava con sè particolari diritti e doveri. Cfr. Ebr. 1, 6, dove l'unico figlio di Dio viene detto primogenito. I passi Mt. 1, 18: "prima che venissero a stare insieme" e Mt. 1, 25, "egli non la conobbe finchè non ebbe partorito un figlio" non significano che Giuseppe l'abbia conosciuta in seguito, ma solo che nessun rapporto coniugale intervenne tra lui Maria prima del parto. Meglio quindi tradurre Mt. 1, 25 così: " senza che egli la conoscesse, ella partorì un figlio". Cfr. Gen. 8, 7; 2 Sam. 6, 23; Mt. 28, 20.

Tra i Padri emergono come difensori della verginità Maria dopo il parto ORIGENE (In Lc. hom. 7), AMBROGIO (De inst. virg. et S. Mariae virginitate perpetua), GEROLAMO (De perpetua virginitate B. Mariae adv. Helvidium), AGOSTINO (De haeresibus 56, 84), EPIFANIO (Haer. 78; contro gli antidicomarianiti). BASILIO osserva: "Gli amici di Cristo non tollerano di udire che la madre di Dio cessò di essere vergine" (Hom. in s. Christi generationem, n. 5). Cfr. GIOVANNI DAMASCENO, De fide orth. 14. S. th. 111, 28, 3.
Dal IV secolo in poi i Padri, quali S. ZENO DI VERO (Tract. I, 5, 3; II, 8, 2), AGOSTINO (Sermo 196, 1, 1; De carud. 22, 40), PIETRO CRISOLOGO (Sermo 117) esprimono i tre momenti della verginità di Maria in formule come: Virgo concepit, virgo peperit, virgo permansit (AGOSTINO, Sermo 51, 11, 18).


Maria non ebbe altri figli

L’ossario di Giacomo è un falso
Questa è l’iscrizione:
Ya’acob bar Yosef akhui Yeshùa,
ossia:
Giacomo figlio (di) Giuseppe fratello (di) Gesù.



 Un rinvenimento importantissimo?
L'urna funebre è stata rinvenuta in Israele e sembra offrire una traccia materiale dell'esistenza di Gesù di Nazareth.

L'ossario di pietra calcarea riporta una sorprendente iscrizione in lingua aramaica:
  Giacomo, figlio di Giuseppe, fratello di Gesù  



Sul Times e' comparso l'ennesimo articolo che ci dovrebbe ragguagliare sullo stato del processo che concerne Oded Golan, un antiquario israeliano, che sarebbe responsabile della falsificazione del cosiddetto "ossario di Giacomo" (vi lascio alla lettura del pezzo, se siete interessati alle questioni processuali: molto tecniche).
Questo oggetto, che vedete nella foto, apparve nel 2002, quando Golan annuncio' di averlo comprato da un mercante arabo: la cassettina di pietra porta una iscrizione in aramaico ("Giacomo, figlio di Giuseppe, fratello di Gesu'") e molti insigni epigrafisti giudicarono che, dalla forma delle lettere, doveva trattarsi di una iscrizione del I secolo dopo Cristo. In seguito, tuttavia, la Autorita' Israeliana per l'Archeologia accuso' Golan di aver falsificato l'oggetto e di essere per di piu' responsabile di un gran numero di falsi, che, in conbutta con una rete di complici, egli avrebbe piazzato in musei e collezioni di tutto il mondo. La polemica e' subito divampata intensa soprattutto nel mondo anglosassone e il processo a Golan si trascina da un po' di tempo. Nel frattempo, ancora nel 2007, il Discovery Channel ha trasmesso un documentario nel quale si sosteneva che l'ossario sarebbe la prova definitiva dell'esistenza storica di Gesu' di Nazaret.
Naturalmente, su una cosa del genere i commenti ideologici e le prese di posizione guidate piu' dall'ispirazione teologica che dallo studio metodico si sprecano: per esempio, oltre a quelli che vogliono usare l'ossario per provare l'esistenza di Gesu', ci sono moltissimi evangelici americani che lo impiegano in funzione anti-cattolica. Se l'ossario e' autentico, allora si dimostra che Gesu' aveva un fratello, Giacomo, e tutti i dogmi della verginita' di Maria e dell'infallibilita' papale andrebbero a gambe all'aria.
Personalmente, non saprei pronunciarmi sulla cosa in se', ma, con molti altri, farei una considerazione a monte: tutti i nomi citati nell'iscrizione erano estremamente comuni nell'Israele del tempo di Gesu'. Chi ci dice che fossero proprio quelli della famiglia del Nazareno? Come se fra 2000 anni si trovasse una pietra tombale con scritto "Giovanni, figlio di Giuseppe, fratello di Marco". Chi potrebbe assicurare che si tratta della tomba di Giovanni Bazzana?
In questo e in altri casi simili si dimostra come il sensazionalismo gonfiato dai media abbia facilmente la meglio sullo studio serio, che, poverello, e' sempre noioso, lungo e incerto nei risultati.



L'ossario di Giacomo è un ossario in calcare rinvenuto in Israele nel 2002 e inizialmente ritenuto appartenere a Giacomo il Giusto, chiamato anche "Giacomo fratello di Gesù", ma successivamente riconosciuto come un falso moderno.
La provenienza dell'ossario è ignota: il reperto, secondo le dichiarazioni del suo possessore, Oded Golan, era stato acquistato da un mercante arabo; lo stesso Golan fu connesso poi ad un altro controverso "ritrovamento" archeologico, quello dell'"iscrizione Jehoash". Sebbene la Israel Antiquities Authority lo abbia presto dichiarato un falso, ancora nel 2005 un ricercatore tedesco, assoldato dalla Biblical Archeological Society, ne sosteneva l'autenticità. Nel 2008 un egiziano, Samah Shoukri Ghatas, ha confessato di aver falsificato diversi reperti per Golan, il quale è stato messo sotto processo per falso.

Storia


Il 21 ottobre 2002 fu organizzata una conferenza stampa dal canale televisivo Discovery Channel e dalla Biblical Archaeology Society, che anticipava i contenuti di un articolo contenuto nel numero di novembre della Biblical Archaeology Review, nel quale si parlava di un piccolo ossario che riportava un'iscrizione recitante le parole Yaakov bar Yoseph achui de Yeshua ("Giacomo figlio di Giuseppe, fratello di Gesù"). Se l'ossario fosse stato autentico avrebbe rappresentato la prima prova archeologica della storicità di Gesù, oltre le prove dei testi sacri e delle reliquie attribuite a Gesù.
Hershel Shanks, editore della Biblical Archaeology Review, annunciò che esso apparteneva ad un anonimo collezionista israeliano. L'identità del suo possessore fu pubblicata il giorno successivo nel quotidiano israeliano Ha'aretz: un ben noto collezionista di antichità, Oded Golan, un ingegnere residente a Tel Aviv, affermava di avere acquistato l'ossario da un mercante di oggetti antichi di origini arabe nella Città Vecchia di Gerusalemme circa dieci anni prima, ma di non essere mai stato consapevole dell'importanza della sua iscrizione.
L'ossario fu stato messo in mostra al Royal Ontario Museum (ROM) con l'autorizzazione dell'Autorità per le Antichità di Israele ed è stato oggetto di svariati documentari. Quando giunse a Toronto, la mattina del 31 ottobre 2002, il personale del ROM rimase inorridito dal constatare che la reliquia fosse impacchettata in una scatola di cartone (solitamente, le antichità vengono trasportate all'interno di una cassa in legno o in una rivestita di polistirolo). Il giorno seguente procedettero all'apertura dell'ossario e si accorsero che un paio di strati dell'imballaggio erano così sottili che furono causa di crepe (la più grande delle quali proprio sulla famosa iscrizione) su quella che una volta era stata un'urna robusta. Quando i restauratori del museo iniziarono a riparare il danno, scoprirono l'incisione di una piccola rosa nel lato opposto all'iscrizione. Quando l'esposizione dell'ossario di Giacomo a Toronto ebbe inizio, Oded Golan volò in Ontario per prendervi parte.
Tuttavia, il 18 giugno 2003, l'Israeli Antiquities Authority pubblicò una relazione nella quale si stabiliva, basandosi sull'analisi della patina, che l'iscrizione fosse una contraffazione di età moderna. Nello specifico, sembra che l'iscrizione fosse stata aggiunta in tempi piuttosto recenti e fatta invecchiare con una soluzione calcarea.