Alla scoperta dei salmi scomparsi
Con il Concilio Vaticano II i liturgisti hanno eliminato dal Salterio, per la prima volta nella storia, alcuni salmi imprecatori, per il timore che non fossero ben compresi e che quindi fossero inadatti alla preghiera. Sono considerati salmi imprecatori i numeri 9 - 10 - 11 - 12 - 14 - 28 - 52 - 58 - 59 - 62 - 64 - 75 - 82 - 83 - 94 – 109, ma grossi spunti sono disseminati un po’ ovunque anche tra gli altri salmi. In generale in tutta la Bibbia vi sono concetti espressi con eccessi verbali, colori accesi, esasperazione dei toni e la fiducia nella forza della parola stessa. Vanno contestualizzati alla luce della mentalità dell’uomo dell’Antico Testamento, spesso non in grado di distinguere tra nemici personali e nemici di Dio. Il concetto di aldilà, d’altronde, non era definito come invece lo è nella concezione evangelica, perciò il tempo della giustizia di Dio era completamente limitato a questa vita.
I salmi imprecatori sembrano appartenere ad un universo differente da quello in cui si impone di amare i nemici e di pregare a favore dei propri persecutori. Già Marcione, nel secondo secolo d.C., affermò che nell’ambito biblico vi sono due volti della divinità: «l’una giudaica, feroce, guerriera, l’altra mite, placida e solamente buona e ottima».
In realtà, come spiega Tiziano Lorenzin in un suo libro, “contro l’aggressione dei nemici Israele ha una sola arma, la preghiera. L’espressione di “salmi imprecatori” non è esatta, perché quelle che vengono chiamate impropriamente “imprecazioni” sono in realtà auguri e invocazioni rivolti direttamente a Dio, in un linguaggio passionale, non teleologico, affinché metta fine all’azione persecutoria dei nemici. È Dio il vero destinatario dell’aggressione dei nemici ed è la sua alleanza ad essere contrastata. Se Israele non viene salvato e i nemici puniti di fronte a tutti, è messa in pericolo la fede del popolo.”
Già all’inizio del cristianesimo i padri e dottori della chiesa si sforzarono di “giustificare” questi salmi: in essi Giovanni Crisostomo vede la condiscendenza divina che “assume linguaggio, concezioni e verità umane ancora imperfette”; altri vi riconoscono una carica profetica. Agostino, ad esempio, ritiene che “le imprecazioni sono profezie che annunziano la giusta retribuzione e non la sete di vendetta. Dio punisce non per il piacere del male altrui, il che sarebbe rendere il male per il male, ma per amore della giustizia”. Origene commentando un versetto che recita: “I suoi figli rimangano orfani e vedova sua moglie” spiega: “non è una maledizione, ma una preghiera, perché tutte le parole sono simboliche: orfani sono i pensieri cattivi, vedova è l’anima che non riceve più il seme di Satana”.
Per molti secoli i cattolici si sono sentiti in dovere, contro certe iniziative ritenute anticristiane, di pregare il Signore affinchè le contrastasse, recitando questi salmi. L’intenzione non era, si diceva, quella di giudicare le persone, ma soltanto gli atti, e che quindi dev’essere invocato il fallimento di un’iniziativa e non una maledizione verso i suoi autori, per i quali anzi si chiede la grazia della conversione.
Rimane l’imbarazzo verso testi che non vengono più recepiti come di pura ispirazione divina come quando ha preso forma la Bibbia per come la conosciamo. Oggi la si concepisce come ispirata da Dio, ma pur sempre scritta dall’uomo, unico modo per ammettere concetti a noi eccessivamente estranei e lontani. Oggi, sull’esempio di Origene, tutte le parole stridenti sono simboliche.
Cosa farne allora di questi salmi così sanguigni? Servono?
Per cercare di avvicinare i ragazzi alla preghiera, si può proporre forse quello che un giovane non si aspetterebbe mai da un testo sacro: i salmi imprecatori. Si può canalizzare la loro giusta vena polemica e ribelle attraverso quei salmi che non si risparmiano nell’espressione di sentimenti che sono considerati moralmente riprovevoli. Se fino a quel momento qualche ragazzo ancora pensava che pregare volesse dire mostrare a Dio esclusivamente la propria parte migliore, ecco un’efficace dimostrazione del contrario. E il momentaneo stupore a riguardo lascia quasi sempre il posto ad un sospiro di sollievo.
Anche la rabbia, i sentimenti distruttivi, il bisogno di vendetta e il male-dire contro coloro che sono causa della nostra sofferenza diventano preghiera quando sono portati con sincerità davanti a Dio. Non c’è bisogno di nascondere, condannare o cercare di negare questi sentimenti. Meglio tradurli in parole, guardarli in faccia e metterli nelle mani di Colui che ci conosce e non ci condanna per le nostre escandescenze.
I salmi imprecatori offrono uno spunto per denunciare o per sfogarsi. Ci richiamano con l’energia della parola e la crudezza delle immagini a quei sentimenti che forse preferiremmo non provare ma che sarebbe pericoloso far finta di non vedere.
Come giustamente ha osservato Enzo Bianchi «i salmi imprecatori sono anzitutto un antidoto al gravissimo male dell’indifferenza: essi discernono ciò che è male e lo denunciano come tale. Al tempo stesso demandano a Dio il castigo». C’è poi una dura verità messa in luce soprattutto dalla Teologia della liberazione: poiché “Cristo continua la sua agonia nei poveri”, censurare i salmi di supplica, vuol dire togliere la parola agli ultimi e impedire loro di gridare contro l’ingiustizia.
Questa preghiera di David Maria Turoldo, riassume bene ciò che questi salmi dovrebbero rappresentare. Se accettassimo l’istintività dei sentimenti che ciascuno di noi ha potremmo trovare anche in questi salmi una forma autentica di rapporto con Dio.
Solo tu, Dio, puoi perdonare, perciò è divino ogni uomo che perdona. Tu capisci se uno impreca, e converti anche le maledizioni in suppliche di giustizia. Non abbandonarci ai nostri spiriti di vendetta, ma donaci di pregare come tuo Figlio, “Padre perdona loro perché non sanno quello che fanno” e di scoprire in lui la via dell’amore verso tutti i fratelli anche verso i nostri nemici. Amen.