giovedì 1 settembre 2011

La Trasfigurazione di Gesù secondo il Vangelo di Marco



(Claudio Bottini, ofm)

Il racconto della trasfigurazione non è certamente una pericope del Vangelo di Marco poco studiata [1]
.
Come è noto l’episodio della trasfigurazione di Gesù si legge in tutti e tre i Vangeli Sinottici (Mt 17,1-8; Mc 9,2-10; Lc 9,28-36) e in punti ritenuti generalmente molto significativi nella narrazione della vicenda terrena di Gesù,[2] L’autore della seconda lettera di Pietro poi (2Pt 1,16-18), forse in dipendenza da una tradizione particolare, se ne serve per rinsaldare la speranza dei cristiani nella parusia. Il tema è conosciuto anche dalla letteratura apocrifa[3], come pure da quella ritenuta gnostica[4], Nella riflessione patristica, sia orientale che occidentale, e medievale la trasfigurazione è presente con grande rilievo come tema teologico, cristologico, spirituale, iconografico e liturgico[5]

Alcuni di questi significati sono bellamente riassunti nel Prefazio della seconda domenica di Quaresima, che nella traduzione italiana ufficiale del Messale Romano dice: “Egli [Gesù Cristo], dopo aver dato ai discepoli l’annunzio della sua morte, sul santo monte manifestò la sua gloria e chiamando a testimoni la legge e i profeti indicò agli apostoli che solo attraverso la passione possiamo giungere al trionfo della risurrezione”[6]

Nell’esegesi moderna e contemporanea all’episodio della trasfigurazione sono stati applicati un po’ tutti gli approcci e i metodi che si sono avvicendati nello studio dei Vangeli [7]

Nella presente riflessione rileggiamo il racconto di Marco cercando di cogliere il messaggio che l’evangelista vuole trasmettere alla comunità cristiana. Presenterò anzitutto il contesto ampio e immediato del brano. Poi mi soffermerò a presentare il testo nella sua forma letteraria e infine a illustrare sinteticamente i temi presenti nel racconto della trasfigurazione secondo Marco.

I. Il contesto e il suo significato

Anche se nessuna struttura generale del Vangelo di Marco ha finora riscosso il consenso unanime degli studiosi, sull’unità delimitata in 8,27-10,52 vi è un accordo pressoché completo, qualunque sia il criterio adottato nella individuazione del piano.

L’unità letteraria è scandita da tre predizioni della passione e della risurrezione (8,31; 9,31; 10,33-34), seguite da altrettante annotazioni dell’incomprensione dei discepoli (8,32-33; 9,32-34; 10,35-37) e del successivo ammaestramento degli stessi da parte di Gesù (8,34-38; 9,35-50; 10,38-45). La formula “per via (greco: en tê hodô)”, che ricorre all’inizio della pericope della confessione di Pietro (8,27) e alla conclusione della guarigione del cieco di Gerico (10,52), funge da inclusione delimitando la sezione e suggerendone, secondo molti commentatori, anche il tema narrativo e teologico: la sequela di Gesù.
Altro elemento significativo nel contesto è la funzione parallela delle due guarigioni di ciechi che Marco racconta in 8,22-26 (cieco di Betsaida) per indicare simbolicamente la guarigione dei discepoli dall’incapacità a comprendere l’identità messianica di Gesù e in 10,46-52 (cieco di Gerico) per indicare simbolicamente la guarigione dei discepoli dall’incapacità a comprendere il mistero della missione dolorosa di Gesù che essi sono chiamati a seguire sul cammino della croce[8] Infatti la via che Gesù, Figlio dell’uomo, percorre e sulla quale i discepoli lo devono seguire (8,34; 9,38; 10,32.52) è quella verso Gerusalemme, dove Gesù deve soffrire la passione (10,32.52; 11,1 e 9,33-34; 10,17.46). Unanime è pure la convinzione che Mc 8,27-33 costituisce contemporaneamente il punto di arrivo della prima parte del racconto evangelico e il punto di partenza della seconda. Ciò vale sia per il tema dell’identità di Gesù che per quello del discepolato.[9]

Le osservazioni, fatte finora, portano a concludere che il racconto della trasfigurazione fa parte di una unità letteraria centrale nel Vangelo di Marco, 8,27-10,52 e che all’interno di quest’ultima esso si trova inserito nella sottosezione 8,22-9,29 che comprende le seguenti unità minori: 8,22-26 il cieco di Betsaida; 8,27-30 opinioni di uomini, fede di Pietro in Cristo; 8,31-32a il Figlio dell’uomo deve soffrire: primo annuncio di passione e risurrezione; 8,32b-33 incomprensione dei discepoli; 8,34-9,1 istruzione sul discepolato; 9,2-13 trasfigurazione; 9,14-29 guarigione dell’epilettico posseduto da uno spirito muto e sordo. Questo contesto ampio e immediato offre senz’altro un primo orientamento per comprendere il significato della trasfigurazione nella logica narrativa e teologica del Vangelo di Marco. Esso si trova in una dialettica tematica dove sono articolati i temi dell’identità di Gesù e della condizione del discepolo.

La struttura letteraria e tematica del brano 8,22-9,29 mette in rilievo la posizione che occupa il racconto della trasfigurazione [10] Se si tiene presente lo schema ternario costituito da (1) predizione della passione, (2) incomprensione dei discepoli, (3) istruzione di Gesù, il racconto della trasfigurazione resta fuori di esso e si presenta come un “complemento catechetico” o “racconto illustrativo” complementare della istruzione. [11] Ma forse si può essere più precisi. L’istruzione di Gesù culmina in 9,1 con un detto che certamente contiene un contatto letterario e tematico con il racconto della trasfigurazione in 9,9. Dice in 9,1: “In verità vi dico: vi sono alcuni qui presenti che non morranno senza aver visto (an idôsin) il regno di Dio venire con potenza” e in 9,9: “Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare a nessuno ciò che avevano visto (ha eidon), se non dopo che il Figlio dell’uomo fosse risuscitato dai morti”. Stando a questa corrispondenza ciò che alcuni vedranno (9,1) corrisponde a ciò che i tre discepoli hanno visto sul monte della trasfigurazione (9,9).

A livello tematico questo contatto è rafforzato se si considera che il cieco a cui Gesù restituisce la vista (8,22-26) è probabilmente simbolo di Pietro che vede e confessa l’identità messianica di Gesù (8,27-30) e dei tre discepoli che vedono l’identità divina / gloriosa di Cristo trasfigurato (9,2-10). Sempre a livello tematico si può ritenere che nell’episodio della trasfigurazione la voce divina del Padre che dice: “Questi è il Figlio mio prediletto: ascoltateto!” (9,7) costituisce una conferma dell’identica messianica di Gesù confessata da Pietro, della rivelazione sulla sua missione di Figlio dell’uomo sofferente (8,31-33) e della sua istruzione sulla necessità della sofferenza per il discepolo (8,34-38). A quest’ultimo elemento una ulteriore conferma potrebbe venire dal significato simbolico della guarigione dalla mutezza e sordità del ragazzo epilettico (9,14-29).

Anche queste ulteriori osservazioni sul contesto immediato portano alla conclusione che il racconto della trasfigurazione è inserito in un movimento di pensiero al cui centro si trovano i temi intrecciati tra loro dell’identità messianica e divina di Gesù e della necessità per il discepolo della sofferenza per la sequela. Anzi, si può aggiungere che la trasfigurazione è promessa da Gesù stesso alla fine della sua istruzione (9,1) come un evento che darà loro forza e coraggio per seguire il Figlio dell’uomo nel suo cammino di sofferenza; li assicurerà che tale cammino di sofferenza e di morte sfocerà nella vita e nella gloria del regno di Dio. “Gesù promette che alcuni dei discepoli - per il bene della comunità - vedranno in Gesù il Regno di Dio venuto con potenza; vedranno la sua gloria, frutto della sua morte; gloria che riceverà nella risurrezione ‘come primo atto della parusia’ ”[12]


notes

[1] Nella bibliografia compilata da F. Neyrinck e collaboratori (The Gospel of Mark. A Cumulative Bibliography: 1950-1999 [BETL 102], Leuven 1992) sono elencati 95 autori che hanno studiato Mc 9,2-10, esclusi quelli che hanno preso in esame solo qualcuno dei versetti della pericope. Per quindici autori si tratta di monografie specifiche o notevoli contributi.[2] X. Léon-Dufour, “La trasfigurazione di Gesù”, in Studi sul Vangelo (La parola di Dio 2), 3 ed., Cinisello Balsamo 1974, 105-157, ritiene si possa vedere una trasposizione dell’avvenimento “quale filo conduttore nell’esistenza del Verbo incarnato” e “cristallizzato” in Gv 12,20-32 (a p. 149 le parole citate).[3] Apocalisse di Pietro 15-17; Atti di Pietro 20; Atti di Giovanni 90; Atti di Tommaso 143.[4] Pistis Sophia I, 2-6.[5] Cf. E. Nardoni, La Transfiguración de Jesús y el diálogo sobre Elías según el Evangelio de San Marcos (Teología: Estudios y Documentos 2), Buenos Aires 1976, 25 e le note 3-7[6] Significati analoghi sono espressi pure nel Prefazio della Festa della Trasfigurazione nel Messale Romano.[7] Cf. C. Clivaz, “La Transfiguration au risque de la compréhension du disciple: Mc 9/2-10”, Etudes Théologiques et Religieuses 70 (1995) 493-508.[8] Cf. J. Dupont, “Il cieco di Gerico riacquista la vista e segue Gesù (Mc 10,46-52)”, Parola Spirito e Vita 2 (1980) 105-123[9] Cf. I. de La Potterie, “La confessione messianica di Pietro in Marco 8,27-33”, in San Pietro. Atti della XIX Settimana Biblica, Brescia 1967, 59-77; V. Fusco, Parola e Regno. La sezione delle parabole / Marco 4,1-34 / nella prospettiva marciana (Aloisiana 13), Brescia 1980, 129 e 115-132; K. Stock, “Vangelo e discepolato in Marco”, Rassegna di Teologia 19 (1978) 1-7; C. Senft, L’Evangile selon Marc (Essais bibliques), Genève 1991, 63-75.[10] Qualche autore sostiene che tra 8,22-9,29 si possa individuare una struttura chiastica secondo lo schema A (8,22-26); B (8,27-28); C (8,29.30); D (8,31-33); E (8,34-9,1); D’ (9,2-6); C’ (9,7-8.9-10); B’ (9,11-13); A’ (9,14-29). Cf. Nardoni, La Transfiguración, 40-41 e gli autori ivi citati, cui si può aggiungere B. Standaert, Il Vangelo secondo Marco, Roma 1984, 74.[11] Cf. J. Caba, Dai Vangeli al Gesù storico, Roma 1979, 295-299 e altri come I. de La Potterie e X. Léon-Dufour; Senft, L’Evangile, 72-75.[12] Nardoni, La Transfiguración, 67. Cf. R. H. Gundry, Mark. A Commentary on His Apology for the Cross, Grand Rapids 1993, 457-459, 462, 466 e 468-469 (con sfumature): la trasfigurazione è un compimento parziale di Mc 9,1.
2. Osservazioni letterarie

[13] L’articolazione dell’episodio è molto semplice e lineare. Vv. 2ab: introduzione (Gesù con i tre discepoli sul monte); vv. 2c-4: evento della trasfigurazione (la gloria, Mosè e Elia); vv. 5-6: reazione dei discepoli (le tende); v. 7: interpretazione teofanica

(la nube, la voce); v. 8: conclusione; vv. 9-10: obbligo del segreto e meraviglia dei discepoli.

Nell’introduzione si notano diversi elementi caratteristici della redazione di Marco: i due verbi al presente storico preceduti dalla congiunzione “e (kai)”; il tema del “sesto giorno” nella espressione “dopo sei giorni”; la formulazione della scelta dei tre discepoli; l’uso del verbo “portò sopra (anaferei)
ναφρει” e la formula “loro soli (kat’idian monous) κατ’ δαν μνους”.

Anche nella descrizione dell’evento della trasfigurazione si rilevano tratti marciani: l’uso del verbo “si trasfigurò” (metemorfôthê)
μετεμορφθη e in particolare con la preposizione “davanti” (emprosthen) μπροσθεν; la continuazione del racconto con due aoristi passivi all’indicativo introdotti dalla congiunzione coordinante (kai metemorfôthê… kai… egeneto); la ripetizione in forma verbale di leukanai “rendere bianche” dall’aggettivo leuka; l’omissione della descrizione del volto di Gesù trasfigurato; il ricorso al paragone con il lavandaio.

La redazione marciana si lascia riconoscere pure nella descrizione della reazione dei discepoli. La sua mano è evidente nella formula “Prendendo allora la parola, Pietro disse (kai apokritheis legei)” e nella annotazione finale su Pietro in cui resta inserito il tema del timore “Non sapeva infatti che cosa dire, poiché erano stati presi dallo spavento”.

Quanto all’elemento della nube Marco sembra voler indicare il suo aspetto benefico nei confronti dei discepoli, perché lega direttamente l’espressione “Poi si formò una nube che li avvolse nell’ombra” a quella sui discepoli presi da spavento. Riguardo alla voce la redazione marciana dell’episodio fa risaltare che essa è diretta ai discepoli.

La conclusione riflette vocabolario e stile tipici di Marco. L’espressione marciana “… se non Gesù solo con loro (meth’eautôn)” sembra ancora una volta mettere l’accento sui discepoli protagonisti dell’episodio.

La scena costituita dai versetti 9-10 fanno parte del movimento narrativo della trasfigurazione, perché vi si trova un intimo legame con ciò che precede e vi ricompare il tema della reazione di non comprensione - esclusiva di Marco - che si trova pure nel racconto della trasfigurazione.

La forte impronta marciana rivela che l’evento della trasfigurazione è stato ricevuto e ritrasmesso dall’evangelista. Alla “formazione” dei racconti sinottici della trasfigurazione devono aver contribuito due elementi essenziali: “il ricordo dell’avvenimento che ebbe luogo e le forme letterarie che lo riferirono nei diversi ambienti vitali della Chiesa nascente… All’origine, il racconto della trasfigurazione di Gesù doveva presentarsi come un’apocalisse del Figlio dell’uomo. Dio rivela che Gesù, il Figlio diletto, è il personaggio celeste atteso alla fine dei tempi in vista della salvezza”.

3. I temi principali del racconto
[14] “Dopo sei giorni”. Il riferimento immediato di questa indicazione cronologica appare l’episodio della confessione di Pietro, ma secondo alcuni autori essa potrebbe aver perso il suo valore cronologico e avere un senso più profondo. Sinteticamente: un’allusione alla festa della Capanne, basandosi sull’eventuale erezione di tre capanne proposta da Pietro (v. 5); un riferimento a Es 24,16 in cui si dice che la nube ricoprì per sei giorni il monte e il settimo giorno chiamò Mosè; un resto di racconto primitivo di risurrezione; una sincronizzazione tra la trasfigurazione con il settimo giorno della settimana della passione e risurrezione; un ricorso a uno schema semitico in cui  l’evento del “settimo giorno” costituisce il climax; un uso di uno schema letterario del giudaismo antico e del cristianesimo primitivo nel quale il sesto giorno svolge un ruolo centrale come il giorno della rivelazione di Dio sul monte Sinai a tutto il popolo e il giorno del dono della legge

“Prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni”. Tra “la folla” dei discepoli Gesù sceglie i tre, che nel racconto di Marco avevano presenziato alla risurrezione della figlia di Giairo (Mc 5,37) e saranno vicini a Gesù nel Getsemani (Mc 14,33). Si tratta di due momenti significativi perché nel primo essi diventano testimoni del potere divino che Gesù rivela di avere risuscitando un morto, segno del potere escatologico che realizzerà la risurrezione dei credenti; nel secondo i tre sono testimoni dell’ora suprema in cui Gesù, Figlio di Dio (Mc 14,36) e “Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani dei peccatori” (Mc 14,41). Analogamente si può pensare che con la restrizione di testimoni immediati viene sottolineato che la trasfigurazione è un evento culmine della rivelazione di Gesù e del suo mistero di morte e risurrezione. [15]

L’ambientazione non pubblica della trasfigurazione, accostata a quella di alcuni miracoli più fortemente messianici (1,40-45; 5,21-43; 7,31-37; 8,22-26) e al divieto di divulgazione (5,37.40 cf. 5,43; 7,33 cf. 7,36; 8,23 cf. 8,26; trasfigurazione: 9,2 cf. 9,9), va compresa alla luce di una caratteristica tematica del Vangelo di Marco per il quale “quello che è tenuto nascosto alla massa viene rivelato in disparte ai discepoli, nucleo della futura comunità messianica”.[16]

“Si trasfigurò davanti a loro e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime…”. Il verbo usato dall’evangelista altrove - si veda in particolare Rm 12,2 e 2Cor 3,18 - indica un cambiamento spirituale. Qui invece si tratta di una trasformazione visibile. Il contesto mostra che non si tratta di una metamorfosi di tipo ellenistico quasi che Gesù acquistasse la natura di un altro essere vivente o di un altro individuo o si presti a un travestimento. Gesù non appare come una divinità che assume corpo umano, né viene a trovarsi in una forma che lo renda irriconoscibile (cf. Mc 16,12 e Lc 24,16). Sul Tabor i discepoli non hanno bisogno di riconoscerlo; la sua realtà individuale e somatica non è mutata.L’evangelista non parla del genere di trasfigurazione subita da Gesù, parla solo del candore unico, celestiale, dei vestiti. A partire da questo si può pensare che “si tratta di una trasformazione in una condizione celeste che si armonizza con il bianco risplendente dei vestiti. Inoltre, secondo la connessione tra 9,1 e 9,9 vedere il Regno di Dio venuto con potenza gloriosa è vedere Gesù trasfigurato. Si tratta pertanto di una trasfigurazione in cui Gesù assume lo splendore della Gloria escatologica in forza della dynamis divina del Regno”.[17] Ma si può ritenere anche più semplicemente che, come nelle apocalissi giudaiche, il candore delle vesti è un segno della gloria celeste che viene concessa agli eletti i quali diventano come gli angeli (cf. Mt 28,3; Ap 3,4; 4,4). Difficile dimostrare che nel bianco delle vesti di Gesù si debba vedere un “tema” che ricompare nel giovane “vestito di una veste bianca” e seduto sul sepolcro aperto secondo quando si legge in Mc 16,5 e stabilire anche per questa via un rapporto tra la trasfigurazione e la risurrezione di Gesù.“E apparve loro Elia con Mosè, che discorrevano con Gesù”. Il significato della presenza accanto a Gesù di questi personaggi celesti ben noti e che nella storia biblica rappresentano rispettivamente i Profeti e la Legge con tutta probabilità vuol indicare che in Gesù i tempi sono compiuti e che Gesù è il Messia. Mosè e Elia sono le sole figure legate a una teofania sul monte Sinai. E’ singolare che Marco nomini prima Elia, ma è difficile dare una spiegazione del fatto.[18]
Sembra tuttavia che Marco accentui la funzione di questi due personaggi in ordine ai discepoli.
[19] “Maestro, è bello per noi stare qui; facciamo tre tende…”. Pietro, come preso da una esperienza paradisiaca, esprime anzitutto la sua gioia e fa una proposta per trattenere nel luogo il più a lungo possibile Gesù e i due personaggi celesti. Vari autori vedono in queste parole di Pietro un’allusione alla festa delle Capanne (cf. Es 23,16; Lv 23,27-34; Dt 16,13). Ma a parte il fatto che, se fosse realmente così, forse Pietro avrebbe dovuto proporre la costruzione delle capanne anche per i discepoli, al tempo di Gesù quella festa era legata al pellegrinaggio e a Gerusalemme.

“Non sapeva infatti cosa dire, poiché erano stati presi dallo spavento”. In questa annotazione dell’evangelista si ritrova, come molto spesso altrove, il tema della reazione di timore, di stupore e simili dei discepoli. Significativi paralleli anche letterari all’interno dello stesso Vangelo sembrano 14,40 e 16,8. Le due affermazioni di 9,6 sembrano la fusione degli altri due testi col risultato di congiungere l’inintelligenza dei discepoli al Getsemani con la paura delle donne al sepolcro. In tale modo l’evangelista sembra alludere all’incapacità dei discepoli di comprendere ambedue gli aspetti, quello tragico e quello glorioso, del mistero e, indirettamente, che la gloria di Gesù trasfigurato è intimamente legata alla gloria che Gesù otterrà in forza della sua morte nella risurrezione. “E’ la Gloria che corrisponde alla passione e morte e quella morte porta con sé la risurrezione gloriosa. La Trasfigurazione di Gesù non è per fare del monte un paradiso; è per stimolare, fortificare nella sequela del cammino della passione. Non è questione di restare sopra il monte, ma di scendere i prendere il cammino della passione. La rivelazione cristologica è orientata a una parenesi ecclesiologica per una comunità posta sulla via che conduce alla passione”.[20] “Poi si formò una nube che li avvolse nell’ombra”. Il tenore dell’espressione sembra indicare che l’azione della nube abbia il compito di proteggere e guidare i discepoli intimoriti dall’evento. Questo significato sembra rafforzato dal fatto che la nube altrove nell’Antico Testamento indica la venuta di Dio nelle sue manifestazioni al popolo dell’Esodo (cf. Es 40,35; Nm 9,18.22; 10,34) e la sua funzione di guida e protezione del popolo nel cammino del deserto (cf. Es 33,9-10; Nm 11,25; 12,5). Forse può alludere anche alla nube escatologica che coprirà il popolo eletto di cui parla Is 4,5. La nube può dunque indicare l’azione benefica di Dio sui discepoli chiamati a seguire Gesù nel cammino verso la croce.“E uscì una voce dalla nube: ‘Questi è il Figlio mio prediletto: ascoltatelo’ ”. L’associazione tra la nube e la voce è nota sia alla letteratura biblica (cf. Es 16,10; 19,19; 24,16; Nm 17,7) che a quella giudaica antica (Targum Jerushalmi I di Nm 21,6; Targum Neofiti di Gen 22,10). Si tratta perciò di una voce inquadrata in una cornice di teofania o rivelazione che proclama un oracolo divino. Pietro aveva in pratica equiparato Gesù trasfigurato a Elia e Mosè, la voce invece lo contraddistingue nettamente. L’affermazione sulla figliolanza divina richiama indubbiamente la dichiarazione che l’evangelista ha riferito al momento del battesimo di Gesù in Mc 1,11. Lì l’oracolo divino era rivolto a Gesù, qui invece è rivolto ai discepoli e, tramite loro, alla comunità e alle folle. Infatti con l’ordine di ascoltare Gesù, la voce lo presenta indirettamente come il Profeta che tutto il popolo deve ascoltare (cf. At 3,22 che cita Dt 18,15). E’ un comando unico e valido per sempre.
Il “segreto messianico” e l’incomprensione della passione e risurrezione. E’ scritto: “Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare a nessuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell’uomo fosse risuscitato dai morti. Ed essi tennero per sé la cosa, domandandosi però che cosa volesse dire risuscitare dai morti”.  Nel discendere dal monte Gesù parla ai tre discepoli di quanto è avvenuto sul monte e fa loro una consegna. Si tratta del noto tema del “segreto messianico” (cf. 1,34; 3,12 e specialmente 8,30), seguito subito dopo da quello dell’incomprensione degli annunzi della passione e risurrezione del Figlio dell’uomo (cf. 8,32-33; 9,31).
Nel primo tema è in gioco la proibizione di divulgare la messianicità di Gesù (8,30) e l’evento della trasfigurazione in quanto manifestazione / rivelazione del Figlio di Dio (9,9); “la funzione del divieto è vincolare strettamente la messianicità di Gesù. all’evento della Croce e della resurrezione; al di fuori di quell’evento Gesù non può essere né capito, né proclamato”. [21] Quanto al secondo tema Marco mostra che l’incomprensione degli annunzi della passione e risurrezione del Figlio dell’uomo rimane fino al termine ed è vinta solo dall’illuminazione pasquale. Elemento comune a questi due temi - cui andrebbe aggiunto anche quello dell’incomprensione delle parabole (cf. Mc 4,13.33-34; 7,18) - è la constatazione della “incapacità della mente umana nei confronti della rivelazione divina, la trascendente grandezza del mistero e la gratuità della sua elargizione ai credenti”.[22]

Tuttavia va notato anzitutto che si tratta di una incapacità “di allora”, che ora, nel tempo dei lettori di Marco, è stata già vinta e superata e poi che essa rinvia alla storia della rivelazione e non può essere interpretata in chiave esclusivamente parenetica e tanto meno polemica. [23]
Conclusione
La Chiesa non cessa di riflettere su questo mistero della vita del Signore. Una riflessione che lungo i secoli si è fatta sempre più profonda e ricca. Significativa in questo senso la nota che si legge a commento del racconto di Marco in “La Sacra Bibbia. Nuovo Testamento” a cura della Conferenza Episcopale Italiana: “La trasfigurazione è anticipo della gloria del Risorto. Aiuta a non dimenticare che questo uomo incamminato verso una morte ignominiosa è il Figlio amato di Dio. La parola che viene dalla nube è rivelazione divina: indica Gesù come il Figlio prediletto e ordina di ascoltarlo. Si tratta dello stesso ascolto che Dio chiedeva ad Israele (vedi Dt 6,4) e che acquisterà tutto il suo senso nella fede pasquale” (ed. 1997, p. 120).
Ho citato quasi all’inizio di questa riflessione un testo liturgico riassuntivo della teologia misterica e della spiritualità esistenziale che l’evento della trasfigurazione ha ispirato nella Chiesa. Concludo anche con un testo liturgico. Si tratta del Prefazio della Festa della Trasfigurazione che si legge nel Messale Ambrosiano: “Cristo rivelò la sua gloria davanti a testimoni da lui prescelti e nella povertà della nostra comune natura fece risplendere una luce incomparabile. Preparò così i suoi discepoli a sostenere lo scandalo della croce, anticipando nella trasfigurazione il destino mirabile di tutta la Chiesa, sua sposa e suo corpo, chiamata a condividere la sorte del suo Capo e Signore”.
Giovanni Claudio Bottini ofm
Studium Biblicum Franciscanum - Jerusalem


Note

[1] Nella biblliografia compilata da F. Neyrinck a collaboratori (The Gospel of Mark. A Cumulative Bibliography:1950-1999 [BETL 102] , Leuven 1992) sono elencati 95 autori che hanno studiato Mc 9,2-1. Questo esludendo quelli che hanno preso in esame singoli versetti della pericope. 15 autori si occupano di questo soggetto in monografie particolari o contribuzioni di una certa importanza.[2] X. Leon-Dufour, “The Transfiguration of Jesus”, in Studi sul Vangelo (La Parola di Dio 2), 3a ed., Cinisello Balsamo 1974, 105-157, ritiene che sia possibile vedere una trasposizione di eventi che conducano dalla preesistenza del Verbo incarnato fino alla sua “cristallizazione” in Jn 12:20-32 (p.149).[3] Apocalisse di Pietro 15-17; Atti di Pietro 20; Atti di Giovanni 90; Atti di Tommaso 143.[4] Pistis Sophia I, 2-6.[5] Cf. E. Nardoni, La Transfiguracion de Jesus y el dialogo sobre Elias segun el Evangelio de San Marcos (Teologia: Estudios y Documentos 2), Buenos Aires 1976, 25 e note 3-7.[6] Simili concetti sono anche espressi nel prefazio della festa della Trasfigurazione.[7] Cf. C. Clivaz, “La Transfiguration au risque de la comprehension du disciple: Mc 9,2-10”. Etudes Theologiques et Religieuses 70 (1995) 493-508.[8] Cf. J. Dupont, “Il cieco di Gerico riacquista la vista e segue Gesù (Mc 10,46-52)”, Parola Spirito e Vita 2 (1980) 105-123.[9] Cf. I. De la Potterie, “La confessione messianica di Pietro in Marco 8,27-33”, in San Pietro. Atti della XIX Settimana Biblica, Brescia 1967, 59-77; V. Fusco, Parola e Regno. La sezione delle parabole - Marco 4,1-34 - nella prospettiva marciana (Aloisiana 13), Brescia 1980, 129 e 115-132; K. Stock, “Vangelo e discepolato in Marco”, Rassegna di Teologia 19 (1978) 1-7.[10] Alcuni autori affermnao che tra 8,22 e 9,29 è possibile riscontrare una struttura chiastica secondo lo schema: A (8:22-26); B (8:27.28); C(8:29.30); D(8:31-33); E (8:34-9:1); D' (9:2-6); C' (9:7-8.9-10); B' (9:11-13); A' (9:14-29). Cf. Nardoni, La Transfiguración, 40-41 e autori citati.[11] Cf I. De la Potterie, “La confessione messianica di Pietro in Marco 8,27-33”, in San Pietro. Atti della XIX Settimana Biblica, Brescia 1967, 59-77; V. Fusco, Parola e Regno. La sezione delle parabole - Marco 4, 1-34 - nella prospettiva marciana (Aloisiana 13), Brescia 1980, 129 e 115-132; K. Stock, “Vangelo e discepolato in Marco”, Rassegna di Teologia 19 (1978) 1-7.[12] Nardoni, La Transfiguración, 67.[13] Per una sintesi delle opinioni e autori, cf. Nardoni, La Transfiguración, 197-199 e le rispettive note.[14] Dall’inizio del III sec. il monte della Trasfigurazione cominciò ad esere identificato con con il M. Tabor. Per i riferimenti agli antichi pellegrini cf. D. Baldi, Enchiridion Locorum Sanctorum. Documenta S. Evangelii loca respicientia, Jerusalem 1982, ristampa, nn.490-529; per la storia del posto cf. M.T. Petrozzi, Il Monte Tabor e dintorni (Luoghi Santi della Palestina), Jerusalem 1975.[15] Fusco, Parola e Regno, 135.[16] Nardoni, La Transfiguración, 203.[17] Nardoni, (La Transfiguración, 206-208) ritiene che sia possibile darne una spiegazione perché Marco in 9,10-13 fa di Elia un “ simbolo personificato della Passione e della Morte di Gesù”.[18] Questa interpretazione la si ritrova nella Bibbia TOB che si rifà a Mt 17,5 come pure a Mc 9,2. Per le ultime discussioni cf. Nardoni, La Transfiguración, 209.[19] Nardoni, La Transfiguración, 210 che si basa su due studi di A. Vanhoye e K. Weiss rispettivamente.[20] Fusco, Parola e Regno, 132-133.[21] Fusco, Parola e Regno, 136.[22] Fusco, Parola e Regno, 136-137.[23] Cf. Fusco, Parola e Regno, 136-137.